“Tra Shakespeare e Fabri Fibra” l’intervista di Chiara Mora
L’intervista di Chiara Mora per la Sermidiana, impaginazione grafica Enrica Bergonzini, foto di Luca Calcaterra.
Federico Scarioni: tra Shakespeare e Fabri Fibra
Lo scrittore, in visita a Sarmide con Omar Pedrini per presentare la rock-biografia “Cane sciolto”, ci parla dell’accoglienza ricevuta in paese e della sua particolare visione della scrittura.
– Come ti sei trovato a Sermide?
Dire “come a casa” sembrerebbe un esercizio di retorica invece è proprio così. È simile al paese in cui vivo, poche “anime”, genuine, pure, lontano dai mondi artefatti delle metropoli. E poi avete dato le chiavi della città al mio amico Omar, siete stati grandi, avete un Sindaco Rock! Avete Enrico Zapparoli, gran chitarrista e uomo che, pur facendo parte di una pop-band famosissima è di un’umiltà lucente. E quando a cena da Lorenza, in bella compagnia, abbiamo mangiato il tortello alla zucca mantovano, beh, non volevamo più tornare a casa.
– Com’è andata con Omar Pedrini? Lui ti ha scelto come autore della sua biografia, come vi siete conosciuti? Cos’hai chiesto ai suoi amici per ricostruire la sua storia?
Un’esperienza unica, di quelle che quando ci ripensi ti si “accappona la pelle”. Ho vissuto momenti rock ma anche di poesia; ho bevuto gin fino a notte fonda parlando di Jodorowsky e sentito il battito del suo cuore, è stato emozionante. Ci siamo conosciuti nel campo dell’arte, della beat generation. Per ricostruire la sua storia ho chiesto ai suoi amici di raccontarmi la verità e più li lasciavo parlare più sentivo il fluire delle emozioni e l’amore per il loro amico, perché Omar è una persona generosa (e tosta, come tutti i bresciani). Per entrare nella sua vita mi sono fatto sottile sottile, silenzioso, sono stato la sua ombra per due anni; sono come scomparso, sacrificandomi come artista perché volevo, dovevo portare a termine questo lavoro, Omar è un artista che merita maggiore attenzione dall’Italia.
– Come sei diventato scrittore / quando hai capito che volevi fare questo?
Ho sempre sfogato la mia rabbia, la mia voglia di creare, l’inquietudine nell’arte, con la musica, con la poesia, con la pittura e parallelamente scrivevo, ma all’inizio era una questione secondaria. Poi, col tempo, ho scoperto che era la mia attitudine, ho compreso che le mie forme espressive riconducevano alla scrittura, anche il mio modo di vivere.
– Quali sono le difficoltà maggiori per chi fa questo mestiere?
Non saprei risponderti perché non lo vivo come un mestiere. Se lo intendessi come tale, se pensassi cioè, anche solo per un attimo, a cosa scrivere per procacciarmi da mangiare, molto probabilmente smetterei di avere il mio impulso creativo. Per quello che mi riguarda credo che la difficoltà maggiore in cui possa incorrere uno scrittore come me sia l’assenza, l’assenza di storie e di ispirazione, l’assenza della vita.
– Qual è l’aspetto che ti piace di più di questa attività, se non lo vuoi chiamare mestiere? Qual è il complimento più bello che hanno fatto alla tua scrittura?
La libertà, scrivo per necessità creativa, prendendomi gli spazi che voglio. Non ho un contratto editoriale, sono libero e la libertà, in campo artistico, è la miglior arma che possa desiderare. Uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è stato da parte di Red Ronnie che, parlando di “Cane sciolto”, lo ha definito come “La biografia che rivoluzionerà il modo di fare le biografie”, mi sono commosso, un complimento così da Red è qualcosa di speciale. Gli altri complimenti a cui tengo particolarmente sono quando i lettori si avvicinano e mi dicono cose del tipo “ho letto due libri in vita mia, uno di quelli è il tuo”, trattengo a stento una lacrima, davvero.
– Tre cose da cui uno scrittore deve stare lontano.
L’ipocrisia, l’ottusità e l’opportunismo.
– Tre cose che uno scrittore deve tenere vicino.
La vita, la vita, la vita.
– Parlaci del panorama letterario italiano attuale, cosa ne pensi?
Credo che tra 20-30 anni parleremo solamente del giallo italiano. Sarà riconosciuta come di una grande corrente letteraria. Oggi, che stiamo vivendo dentro questo tempo, non ce ne accorgiamo, ma ci sono autori come De Giovanni, Carlotto, Pandiani, Lucarelli, Camilleri, Logoteta e tanti altri di cui parleremo con interesse nel futuro. Con un po’ di dispiacere vedo invece lasciato un po’ in disparte Andrea G. Pinketts dalla critica letteraria, io credo che sarà l’unico scrittore che tra 100 anni oltrepasserà l’oblio della storia, non a caso la “G.” messa tra il nome e il cognome sta per “Genio”.
– Benni in “Achille piè veloce” scrive che lo scrivere viene da leggere. Sei d’accordo? …tu cosa hai letto e cosa leggi?
Benni è un intellettuale e patrimonio letterario per l’Italia quindi condivido quello che dice a priori. Per me invece vale la teoria “scrivere è vivere, vivere è scrivere”. Mi immergo nella scrittura come nella vita. Quando scrivo devo vivere nei miei personaggi, nella loro testa, le loro storie poi diventano anche le mie. Mi tatuo addosso i miei libri, me li scolpisco su pelle, nel vero senso della parola. Per quanto riguarda le letture sono monotematico e leggo principalmente autori della corrente post modernista americana come De Lillo, Palahniuk, Pynchon, Ellis, ecc. A livello artistico ascolto, guardo, leggo chi è in grado di trasformare le parole in immagini: Shakespeare, Van Gogh, Pollock, i Nirvana, Fabrizio De Andrè, Fabri Fibra.
– Fabri Fibra, il rapper?!
Sì, esatto. Considero i rapper l’ultima frontiera della letteratura, alla stregua dei poeti e cantautori degli anni ’70. Mi piace tutto ciò che attraverso le parole riesce a far scatenare le immagini nella mente, in maniera immediata. Io scrivo così, in prima persona, al presente, parlando per immagini, in stile quasi cinematografico. È per questo che mi attirano molto le dinamiche tra musica e parola degli artisti rap, sono diretti, immediati, e ogni loro testo crea un mondo. Poi Fibra, in particolare, è un autore disinteressato, disincantato, ogni volta che lo ascolto in auto viaggio con la mente.
– Il tuo prossimo lavoro?
A breve inizierò la biografia di un pittore importante. Poi sto pensando a scrivere qualcosa su De Andrè, che ha condizionato molto il mio modo di pensare, ma sono un po’ intimorito perché vorrei fare una cosa originale ma allo stesso rispettosa, insomma, stiamo parlando del Faber, un gigante. Non nasco come biografo, ci sono finito per caso, ma parlare della vita di altri mi sta entusiasmando. L’esperienza con Omar mi ha dato molto, gli sono riconoscente, senza di lui probabilmente avrei smesso di scrivere. Infine ho scritto una raccolta di racconti che vorrei far uscire sottoforma di romanzo alle 10 in punto del 24 dicembre 2018 e che si chiama appunto “14 ore a Natale” ma gli editori con cui lavoro non la vogliono pubblicare, troppo estrema, così dicono.